Killing Floor II

Fra l'autunno del 2012 e la primavera del 2013, in via Parma 31, Andrea Caretto, Manuele Cerutti, Sara Enrico, Alessandro Quaranta e Raffaella Spagna risposero al mio invito a partecipare a un progetto di cui avevo parlato loro all'inizio del 2012, che avevo chiamato Killing Floor, all'interno del quale allestire alcune opere, disponendosi ad agire (e interagire, fra di loro e con me stesso, sempre attraverso le opere, vere protagoniste del progetto) in una situazione all’insegna dell'instabilità, e affatto sperimentale. Una caratteristica fondante di Killing Floor – oltre alla necessità di presentare opere nuove o inedite, o, nel caso di opere già pubblicate, rendendosi disponibili a modificarle per l'occasione – era la sua privatezza, e infatti non ci furono mai vere e proprie inaugurazioni, lo spazio non era aperto al pubblico, non c'era un orario di visita, e non venne mai pubblicata una documentazione delle opere. In tre diverse occasioni vennero organizzati degli incontri, uno dei quali riservato a noi soli, mentre negli altri due il numero dei presenti venne aumentato dalla presenza di pochi ‘estranei’, scelti da noi stessi, rigorosamente non appartenenti al novero dei cosiddetti addetti ai lavori. Decisi io stesso di applicare questa regola, sia pure non scritta – ma accettata da tutti – perché mi sembrava importante, anzi fondamentale, eludere il rischio di una fruizione ‘professionale’, da parte di curatori, critici, o chiunque sia troppo addentro alle cose dell'arte e sia perciò spinto, anche inconsapevolmente, a ‘leggere’ le opere in una maniera troppo abile o addirittura ‘scaltra’, isolandole dal contesto per ricondurle a schemi prefissati e troppo rigidi, che rispondono forse a esigenze di catalogazione. Tali schemi, o schermi, sono in grado di impedire, o comunque rendere più difficoltosa, una libera percezione delle opere alienando loro la possibilità di vivere autonomamente e di sorprendere il visitatore ‘vergine’ - con lo sguardo sgombro da tali schemi – che può così afferrarne l’essenza, o magari anche travisarla, ma positivamente, ad esempio scorgendovi elementi o valenze che l’autore non aveva considerato, ma che ci sono, e potrebbero essere accolti dallo stesso autore all'interno della stessa sua percezione dell'opera.

Quest'anno Killing Floor avrà luogo a blank, in via Reggio 27, ma pubblicamente, uscendo da quella dimensione di privatezza che aveva in via Parma 31. Anche qui, peraltro, non ci dovrebbero essere inaugurazioni, bensì una situazione di fluidità, per cui ci si può aspettare una continua evoluzione dello stato di cose all'interno dello spazio. Quindi saranno ammesse le visite, e di quando in quando si potrebbero organizzare degli incontri, aperti a un certo numero di persone informate con comunicati email, o con un passaparola.
Direi che questa volta, in modo ancora più spiccato e deciso di quanto non sia avvenuto la prima volta, in via Parma 31, il Killing Floor sarà all'insegna del caos. Non nel senso di un disordine letterale, ma forse piuttosto di una sorta di compresenza di ordini diversi, sistemi auto-disciplinati ma autistici, che non si pongono come fine precipuo la comunicazione con gli altri, senza peraltro rifiutarla, disposti bensì ad attuarla soltanto in modo occasionale e non volontario, o meglio, non intenzionale.
Una sorta di teatro delle opere, un luogo di transito aperto al manifestarsi di realtà eterogenee, non soltanto riconducibile a interventi intenzionali, bensì anche ad accadimenti casuali e incontrollabili – come il semplice mutare della luce proveniente dalle finestre – in  grado ogni volta, con la propria attività, sia pure effimera, di modificare sensibilmente la percezione dello spazio. Che spesso potrà essere vuoto, eppure denunciare comunque, se non ancora più fortemente, la presenza immanente di un'energia sempre in atto, che è la stessa del cielo, quella del mutamento incessante. Ma non ci sarà un piano preciso degli eventi, diversamente da quanto accade in genere nel teatro o nel cinema, nessun ‘plot’, e soltanto dopo, quando tutto sarà finito, si potrà leggere una storia, fatta di molte storie, composta da Alessandro Quaranta.

A proposito delle caratteristiche di instabilità e di flessibilità della situazione delle opere sul Killing Floor, va rimarcato come già dagli inizi dell'attività di e/static, con mostre come Lavori Diversi 1 e 2 nel 1999, e poi con la prima personale di Paolo Piscitelli nel 2000, esse si erano già manifestate in modo piuttosto evidente. Nel primo caso, soltanto un’opera di Giovani Anselmo (quella fondamentale, senza titolo, del 1966) rimase allestita in entrambi i capitoli, più o meno nella stessa posizione, mentre intorno a quella, gli stessi autori – con l'aggiunta di Paolo Parisi, e poi anche di Aurelio Andrighetto nella seconda puntata – allestirono opere diverse. Un caso a parte è quello di Parisi, la cui opera Intorno venne poi presentata anche nella collettiva Inediti, dell'inverno 2000, però con un allestimento assai diverso, più aperto e disteso rispetto a quello apparso nel 1999. Paolo Piscitelli, invece, presentò, il giorno dell'inaugurazione della sua mostra personale, alcune opere ancora in fase di lavorazione, completandole poi (e spostandole nello spazio) durante i giorni che seguirono, fino all'ultimo, in cui decretò la fine di quel periodo di fluidità e di crescita, e quindi anche la ‘chiusura’ delle opere che vi erano allestite.

Carlo Fossati, 2014

per un approfondimento, cliccare QUI

artista/i: 
Alessandro Quaranta
artista/i: 
Alis/Filliol
artista/i: 
Ludovica Carbotta
artista/i: 
Giovanni Morbin
date: 
29 4 14 - 27 6 14
Luogo: 
blank, via Reggio 27, Torino
Realizzazione curata da: 
Carlo Fossati per e/static
Giorni e orari di apertura: 
soltanto su appuntamento
Info: 

011235140 estatic.it

AllegatoDimensione
Giovanni Morbin: Mi arrendo_ibridazione 10.pdf38.18 KB
Carlo Fossati: the making of mom.pdf28.89 KB