Camminare e sognare in alta montagna

 

Siamo arrivati al rifugio quando era ormai l'una e mezza, il cielo era coperto e cominciava a scendere qualche goccia di pioggia, in modo ancora discontinuo, quasi titubante. Dopo pranzo, abbiamo atteso a lungo di poter parlare con R., il gestore, per preparare con lui la proiezione, e ci sentivamo piuttosto indecisi sul da farsi, e perplessi. Il tempo non prometteva niente di buono, e i problemi all'impianto elettrico di pochi giorni prima non erano ancora stati risolti (anche se il generatore suppliva sufficientemente alla mancanza di energia dalla centrale). Si sapeva di diverse defezioni, e le adesioni latitavano, per cui non ci si poteva aspettare un gran pubblico. Poi finalmente, quando erano ormai quasi le quattro del pomeriggio, R. si fece vedere, e cominciammo a discutere su come impostare la proiezione, accettando la sua proposta di usare il lato opposto a quello vicino al piccolo bancone del bar, perché, ci disse, avrebbe garantito maggiore raccoglimento e minor disturbo da parte di eventuali avventori. Cominciammo ad allestire lo schermo, e di fronte, su un tavolo, il proiettore, collegato al portatile di A. In quell'area della grande sala da pranzo non potevamo collegarci all'impianto audio stabile, e quello era un problema non da poco. Ma R. tirò fuori dal cilindro la proposta di usare un vecchio amplificatore per chitarra Fender, probabilmente degli anni '70, a valvole, piuttosto pesante, che teneva in qualche magazzino al piano inferiore del rifugio. Ci sembrò un'idea bizzarra ma intrigante, e così, dopo l'iniziale sorpresa, e anche un certo sconcerto, accettammo la proposta del gestore del rifugio.
Erano ormai circa le cinque quando l'allestimento venne concluso, e, dopo aver settato nel miglior modo possibile l'immagine e l'audio, decidemmo di andare a fare una breve passeggiata, in modo da ritornare circa mezz'ora prima dell'inizio della proiezione, fissato per le sei e mezza. Ma ben presto la pioggia aumentò di intensità, e dovemmo fare marcia indietro, non aveva senso continuare, ci saremmo soltanto infradiciati, senza neanche poter vedere granché del paesaggio, sotto i cappucci dei nostri parka impermeabili. Rimanemmo così per circa un'ora sulla veranda del rifugio, abbastanza al riparo dalla pioggia, cercando di ammazzare il tempo in qualche modo.
Finalmente alle sei, o poco dopo, era venuta l'ora di fare le ultime operazioni prima della proiezione, e io chiusi, dall'esterno, tutti gli scuri delle finestre di quell'area della sala, per avere sufficiente oscurità all'interno. Mancava ancora circa mezzora, non c'era molta gente in sala, e quei pochi leggevano o facevano qualche gioco in attesa della cena, mentre il personale si preparava a cenare, come sempre con un certo anticipo rispetto ai clienti. A un certo punto notammo, io, A. e S., una coppia uscire dal rifugio e dirigersi, con passo molto lento e rilassato (S. lo definì “non sportivo”) verso l'enorme prato davanti al rifugio, sotto le montagne che circondano il vallone. Avevano, tutti e due, una mantellina impermeabile nera, con cappuccio, e vedendoli procedere di spalle, appaiati, già a un centinaio di metri dal rifugio, mi venne in mente Friedrich, perché in molti suoi quadri si vedono due così, in primo piano, mentre guardano la luna o il mare. Avevano anche qualcosa di spettrale, e non mi sarei stupito di vederli sparire improvvisamente. Continuammo a seguirli con lo sguardo, mentre avanzavano verso il centro del prato, sempre più lontani: erano diventati molto interessanti per noi, e A. disse che avremmo potuto aspettare il loro ritorno, prima di iniziare la proiezione. Avevamo infatti notato che a un certo punto, a un bivio del sentiero, imboccarono la via del ritorno, e ci si chiedeva quanto avrebbero potuto impiegarci, per arrivare al rifugio, dopo aver descritto, camminando, un ampio cerchio sul prato.
Infine cominciammo la proiezione, perché erano ormai le sei e mezza passate. Davanti allo schermo c'erano altrettante persone quante sono le dita di una mano, o forse eravamo in sei, più due cani. Ma dall'altro lato della sala, a una distanza di 10 o 12 metri dallo schermo, i ragazzi del personale (5 o 6 in tutto) potevano sbirciare, di quando in quando, fra un boccone e l'altro, il video, anche se, probabilmente, potendo sentire ben poco, dato il volume piuttosto basso dell'audio (volutamente tenuto così, per evitare distorsioni o altri disturbi). Ma il Fender fece la sua parte a meraviglia, troneggiante là al centro della sala, di fronte allo schermo, a una distanza di circa un metro, un metro e mezzo. Involontariamente, A. provocò, cliccando due volte sul play nell'arco di pochi secondi, per far ripartire il video, un fenomeno di asincronia che notammo ben presto entrambi, rammaricandoci dell'incidente. Ma S., che vedeva il video per la prima volta nella sua interezza (e poco prima aveva settato il volume dell'amplificatore, correggendo un difetto di impostazione che aveva creato qualche problema all'epoca della prima proiezione assoluta del video) ci disse, dopo la fine della proiezione, che aveva trovato “fantastico” l'effetto di 'fuori sincrono', e credendolo intenzionale si complimentò con A. per la trovata. A un certo punto, verso la fine, per qualche motivo i cani si misero ad abbaiare, ma la cosa durò poco, senza creare troppo fastidio, sembrava anzi che ci stesse bene, quel rumore. Dopo circa 19 minuti era tutto finito, era andata bene, il pubblico sembrava soddisfatto e addirittura concordammo, io e A., che fosse andata perfino meglio che alla prima, circa una settimana prima, nell'ampio e attrezzato auditorium, al cospetto di una cinquantina, o poco più, di persone. Grazie al Fender, al fuori sincrono, forse anche ai cani, e sicuramente, io credo, anche grazie ai due incappucciati che sembravano usciti da un quadro di Friedrich. E che forse ci erano tornati.
 

Nella foto pubblicata qui sopra, fatta da A. col suo cellulare, non si vede nessuno al centro del grande prato; la coppia incappucciata comparve in seguito, e per qualche motivo A. non provò a fotografarla. Eravamo convinti, soprattutto lui, che ci avrebbe pensato la webcam del rifugio, posta proprio sul lato della costruzione rivolto verso il fondo del vallone. Siccome scatta una foto ogni minuto, o forse ogni due, ci saranno sicuramente state almeno due o tre immagini in cui si vedono quei due. Ma non siamo stati in grado di scaricarle, quelle immagini, che forse - ma non è per niente certo – potrebbero essere state raccolte in un archivio del sito. Oppure qualcuno, collegandosi da casa al sito del rifugio, potrebbe forse averle scaricate, e le avrà quindi disponibili nella memoria del suo computer. È probabilmente l'unica possibilità di poter recuperare una traccia, sia pure digitale, di quell'apparizione quasi fantasmatica, anche se appare piuttosto remota.

C F, 5 giugno 2017

 

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